Gli equilibri del mondo durante il conflitto ucraino

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, nonostante rappresenti solo il culmine di anni di tensione, scontri e negoziati, è un evento dalla portata epocale, destinato a riplasmare per sempre gli equilibri globali. Oltre alle tragiche ripercussioni che gli scontri stanno avendo sulle forze armate di entrambi gli schieramenti e sulla popolazione ucraina, la guerra in corso ha inevitabilmente coinvolto tutte le nazioni del pianeta, che tramite incontri e riunioni si schierano e partecipano indirettamente al conflitto.

La votazione dell’Assemblea Generale dell’ONU in merito alla condanna dell’operazione russa nel territorio ucraino, seppur simbolica e priva di un’effettivanapplicazione nella realtà, aiuta a comprendere meglio quali siano le parti in gioco nel campo globale (quelle nel campo di battaglia reale sono, purtroppo, già più che note). I paesi che si schierano apertamente e senza remore con la Russia sono pochi, tutti legati strettamente a quest’ultima: prima fra tutti la Bielorussia, totalmente asservita a Mosca e dipendente dai suoi sostegni economici, la quale, tra l’altro, sta offrendo un aiuto vitale alle operazioni russe, permettendo alle forze di Putin l’ingresso in Ucraina attraverso il proprio confine e dichiarandosi pronta, in caso di evenienza, a inviare le proprie; i recenti accordi fra la Russia e l’Eritrea, colpito dalle sanzioni occidentali in seguito a gravi violazioni dei diritti umani, hanno portato il paese del Corno d’Africa al voto contrario alla condanna, così come la Siria, il cui governo è sostenuto militarmente da Putin. Infine, la Corea del Nord, necessariamente legata a Russia e Cina in funzione anti-occidentale.
Tra chi invece condanna apertamente l’invasione, emerge il blocco occidentale al completo: NATO, Unione Europea, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Singapore e Corea del Sud.

Sono proprio questi gli stati che, a grandi linee, hanno aderito alle severe sanzioni economiche nei confronti della Russia. Si aggiungono alla votazione i membri dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico), gli stati del Golfo (Emirati Arabi, Qatar, Arabia Saudita, Yemen, Kuwait e Bahrain), i quali mantengono tuttavia rapporti in equilibrio fra le due parti, molti dei paesi dell’America Latina e una parte di quelli africani. Da
segnalare inoltre che Taiwan, pur non essendo presente all’ONU in quanto non riconosciuto internazionalmente, ha apertamente dichiarato il proprio sostegno simbolico alla causa
ucraina.

Fra coloro che, invece, hanno deciso di non schierarsi, rientrano sia stati minori ma strategici, che grandi potenze, a partire dalla Cina, legata da una “grande amicizia” con la Russia, ma che sta mantenendo un sostanziale equilibrio fra le parti per non compromettere totalmente i propri rapporti commerciali con l’Occidente. Anche l’India, nonostante faccia parte del Quad (un’alleanza con Australia, USA e Giappone volta al contenimento della Cina nell’Oceano Pacifico) ha deciso di non schierarsi, visti gli importanti approvvigionamenti militari di cui si rifornisce dalla Russia; una posizione che sarà costretta a rivedere, in caso l’amicizia fra Pechino e Mosca dovesse rafforzarsi maggiormente nelle prossime settimane.

Infine, anche Algeria e Iran hanno espresso la propria neutralità in merito: la prima perché potrebbe approfittare della guerra, e anzi già lo sta facendo, per aumentare il proprio export di gas verso un’UE a corto di rifornimenti russi, il secondo, più vicino alla Russia che agli Stati Uniti, per non compromettersi agli occhi degli americani in vista dei negoziati sulla gestione dell’energia e delle armi nucleari iraniane attualmente in corso a Vienna (a cui partecipano appunto gli USA, oltre a Russia, Francia, UK, Cina, Germania e UE).

In questo scenario di interessi, alleanze e amicizie più o meno solide, emerge fondamentale il ruolo dell’Occidente in chiave negoziale: se, come già più volte dichiarato, la NATO non ha intenzione di muovere guerra contro la Russia per evitare un’escalation che porterebbe a drammatiche conseguenze, i paesi dell’Alleanza devono impegnarsi ad andare oltre alle severe sanzioni economiche, utili fra l’altro più nel medio periodo che nell’immediato, percorrendo con tutti i mezzi a disposizione le vie diplomatiche. Questo, innanzitutto, per fermare al più presto gli orrori che da ormai tre settimane sono sotto ai nostri occhi; in secondo luogo, i negoziati fungerebbero da prevenzione per quella che, altrimenti, sarebbe la creazione di un tragico precedente, le cui tracce Putin potrebbe seguire nuovamente in futuro magari contro nazioni come Svezia e Finlandia, formalmente neutrali ma di fatto estremamente legate all’Occidente, in quanto membri dell’UE, del NORDEFCO (un’alleanza difensiva tra i paesi nordici) e di un accordo militare con gli Stati Uniti. Per scongiurare quest’evenienza, che getterebbe il mondo in un conflitto mondiale e potenzialmente nucleare, è urgente un intervento diplomatico occidentale che vada oltre la semplice disponibilità della Turchia ad ospitare i negoziati fra Russia e Ucraina, e tenti invece di riportare il confronto attorno a un tavolo allargato, come quello dei colloqui tenutisi dal 2014 al 2019 fra Ucraina, Russia, Germania e Francia.

In questo senso, uno stato che potrebbe rivelarsi intermediario fra le due parti è Israele: da sempre legato agli Stati Uniti vista la propria storia, intrattiene parallelamente buoni rapporti con la Federazione Russa per alcuni interessi comuni riguardanti l’Iran, il principale nemico israeliano: infatti, i negoziati sul nucleare iraniano, a cui partecipa anche una delegazione russa, in caso di riuscita alleggerirebbero il peso delle sanzioni finanziarie verso l’Iran; un esito indesiderato sia per Israele, poiché riporterebbe il suo nemico fuori dall’isolamento economico, sia per la Russia, in quanto la riuscita degli accordi consentirebbe l’esporto di energia dall’Iran all’Europa, alleggerendo così la leva energetica russa. Gli interessi nazionali si accompagnano poi a questioni di carattere etnico: Israele comprende al suo interno cittadini ebraici di svariate provenienze, che hanno raggiunto dal 1948 il neonato Stato Ebraico da diverse parti del mondo; fra questi rientrano anche ucraini e russi, senza contare le importanti comunità ebraiche presenti nei rispettivi paesi. La combinazione di questi due fattori, etnico e geopolitico, spiega l’atteggiamento cauto ed equilibrato che Israele ha mantenuto riguardo ai recenti eventi: il voto favorevole alla condanna, gli appelli alla pace e la disponibilità di ospitare profughi ucraini ebraici non sono stati seguiti da sanzioni verso Mosca o rifornimenti militari per le truppe ucraine; decisioni che potrebbero suggerire l’intenzione di proporsi come interlocutore fra le parti.

Tutti questi sono, a grandi(ssime) linee, i motivi che muovono le nazioni dello scacchiere globale a schierarsi con una parte, con l’altra, con nessuna o addirittura con entrambe; nel frattempo milioni di persone, ignare di questa immensa giostra di interessi che gioca senza scrupoli con le loro vite, sentono da tre settimane le esplosioni delle bombe sempre più vicine alle proprie case: ma purtroppo, l’unica via per salvarle è fare i conti con quella terribile giostra.

Articolo di Riccardo Pollo

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