Andromaca

Cosa avrebbe potuto dire Andromaca alla notizia che Ettore avrebbe accettato lo scontro con Achille? Quale sarebbe stata la sua reazione? Come visse, lei, la caduta di Troia? Nel leggere un poema epico centralizzato sulle vicende degli eroi maschili, credo sia giusto porsi queste domande e cercare di capire il punto di vista femminile del racconto. 

 

Non ci potevo credere, non riuscivo ancora a realizzare che mio marito non mi avesse ascoltata: l’avevo supplicato di rimanere sulla torre con me e nostro figlio, di non lasciarlo orfano così giovane, di non lasciarmi schiava agli Achei.

La sua risposta però mi lasciò senza parole: disse che non poteva nascondersi dalla guerra perché sennò si sarebbe vergognato a farsi vedere dai Troiani, mi disse che voleva andare a combattere per la gloria e per la patria e poi, disse che preferiva morire prima di sentire le mie grida e i miei pianti quando mi avrebbero portata via.

Non sapevo se arrabbiarmi perché preferiva l’onore a me, sua moglie; o se essere felice e fiera di lui perché avrebbe combattuto fino all’ultimo respiro per la terra che tanto amava. Tuttavia, decisi di appoggiarlo perché sapevo che sarebbe stato irremovibile. Prima che se ne andasse mi avvicinai a lui per un abbraccio ma lui mi baciò. In quell’istante sperai che non fosse l’ultimo bacio che mi avrebbe dato e che quello non fosse un vero addio.

Faticavo ancora a credere che Ettore mi aveva lasciata sola su una delle torri della fortezza. Avevo il piccolo Astianatte in braccio perché piangeva e tentavo di consolarlo. Tentavo di essere forte per mio figlio e per cessare i suoi lamenti gli sussurravo parole dolci all’orecchio, gli dicevo che suo padre sarebbe tornato vittorioso, anche se volevo piangere con lui.

Dopo poco si addormentò, era così bello vederlo dormire e, rasserenata dal suo volto, per poco pensai che davvero Ettore avrebbe potuto vincere. Poi sentii un urlo, lo ricordo ancora bene, era di Ecuba, mia suocera. Quando, dopo aver rimesso Astianatte nella culla la raggiunsi, la vidi a terra che mi supplicava di non guardare fuori. Era troppo tardi. Mi accasciai al suolo.

Vidi Ettore, non era vivo però. Era legato con delle spesse corde ad un carro e a guidarlo c’era Achille. Gli faceva fare il giro del palazzo in modo che tutti potessero vedere il suo corpo martoriato. In quel momento mi cadde il mondo addosso, volevo urlare ma non riuscivo, ero terrorizzata. Come poteva Achille maltrattare così il suo cadavere!? Poi, ricordo che finito lo scempio quel greco si portò via anche il corpo del mio amato. Alcuni giorni dopo Priamo andò a riprenderlo e tornò con quel che restava delle carni di mio marito per dargli una degna e meritata sepoltura. Ricordo che piansi giorno e notte per la sua perdita e Astianatte pianse con me.

Quando la guerra doveva essere finita, i Greci ci portarono in dono un enorme costruzione a forma di cavallo, noi la portammo all’interno delle mura e vedemmo salpare le loro navi.

Quella notte Troia andò in fiamme. La cosa più brutta che ricordo furono le urla di mio figlio prima che Neottolemo lo buttasse giù dalla torre del palazzo. In quel momento non riuscivo a muovermi, ero come paralizzata, avrei voluto correre e strappargli Astianatte dalle mani ma non ebbi la forza di farlo. Prima che lo lasciasse, però, caddi in ginocchio e in lacrime lo supplicai di non farlo, lui mi rispose che era l’unico modo per porre fine alla dinastia di Ettore e si macchiò così del peggiore dei peccati: l’uccisione di un bambino. Mi trascinò via mentre, immersa nei singhiozzi non mi importava nemmeno di quale sarebbe stata la mia sorte, mi fece schiava insieme a mille altre donne.

Quella stessa notte lasciai Troia da prigioniera e non ci tornai mai più.

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