Rieccoci qua

Rieccoci qua.
Poche settimane fa il Presidente Conte ha annunciato la permanenza della Lombardia in zona rossa. Nuovamente.
Ora come non mai ci troviamo in un momento difficilissimo per la stabilità della regione. Non solo dalla parte economica e concreta, ma anche dalla parte astratta ed emotiva. Ristoratori, industriali, commessi, baristi, imprenditori, idraulici e molti altri lavoratori sono già stati messi in ginocchio dal primo blocco totale delle aperture e dell’afflusso dei clienti. Qualcuno ha dovuto chiudere i battenti. Qualcuno ha perso tutto.
Un secondo lockdown sarebbe disastroso per quelli rimasti e per l’economia totale italiana. Dal lato scientifico, gli studi hanno previsto che l’Italia perderà il 7,5 % del proprio PIL entro quest’anno.
Mi concentrerei però in modo più marcato sulle emozioni che questa vicenda ci ha regalato e che purtroppo ci sta ancora regalando oggi.
Ciò rappresenta proprio un periodo storto per ogni persona che io conosca. Adulti privati del loro lavoro e caduti in miseria, persone che hanno perso e che stanno perdendo i loro cari, scomparsi improvvisamente e brutalmente. Ragazzi privati di uscire, privati dei loro divertimenti e della loro compagnia.
Come ci si dovrebbe sentire?
Voglio fare un balzo indietro, quando non si sapeva neanche cos’era il Coronavirus. Era la fine del 2019, un anno fa.
Si iniziò a parlare di Covid-19 proprio in questo periodo, quando apparvero i primi casi in Cina e nell’Estremo Oriente e che nel mondo Occidentale non destarono molto scalpore.
In Europa e nel resto del mondo nessuno ci faceva caso, e i governi provvedettero solamente ad installare delle banali postazioni di controllo negli aeroporti. Nessuno di noi ci faceva caso. Non sapevamo come fosse la situazione reale in Cina e nei paesi inizialmente colpiti, e probabilmente, a causa di tutti i dati insabbiati, non lo sappiamo neanche oggi.
Non avrei mai pensato di ritrovarmi in questa situazione oggi, davvero.
Ad inizio marzo è cominciato tutto; primo lockdown nazionale.
Durante quei primi mesi ho sofferto tanto. La cosa che mi mancava di più erano gli amici. Mi sentivo soffocare dentro casa; quel cubo di cemento che da sempre ho sentito come un amico, come una protezione, in quel momento era una prigione. Quei muri che mi separavano dall’aria aperta, dal mondo esterno, dove stava sbocciando la primavera, si stavano rivoltando contro di me.
Ho sempre sofferto il non uscire di casa. Soffro l’aria pesante, e ho sempre bisogno di respirare all’aperto.
A maggio sembrava tutto finito; siamo tornati ad uscire.
Abbiamo ricominciato a vedere amici e parenti, convinti che il peggio fosse passato.
Sembrava tornato tutto alla normalità, anche se dovevamo tenere le mascherine e che non si andava a scuola; sapevamo inoltre che non sarebbe stato facile aprirle e mantenere le distanze tra giovani.
Ho svolto l’esame di terza media in videochiamata alla fine della scuola. Ormai era quasi estate, e seguivo con piacere e ottimismo la notizia del calo dei contagi e delle riaperture.
L’estate è stata entusiasmante e serena. Ho frequentato centri estivi, ho praticato sport coi miei amici, sono andato in vacanza come gli altri anni, contento di stare a stretto contatto con gli altri.
Ho anche seguito da vicino e con molto interesse gli svolgimenti del dibattito sulla riapertura delle scuole, anche se non ho capito e continuo a non capire e a condividere molte idee e scelte.
Con l’avvicinarsi di settembre i fatti sono cambiati.
I contagi man mano salivano, come saliva la preoccupazione di tutti coloro che mi stavano intorno. Un altro lockdown no, tutti lo temevamo.
Alla riapertura delle scuole ben presto si capì che molte cose non andavano. I banchi, separati e distanziati, erano pochissimi all’interno della classe; tutto ciò dava tristezza e senso di vuoto.
I ragazzi non erano liberi di stare con gli amici, ma soltanto di parlarsi a distanza, separati dalle mascherine.
Non era possibile alzarsi se non per andare in bagno, e 6 ore seduti dietro ad un banco era qualcosa di insopportabile.
In aula potevano starci solo banchi per mezza classe, quindi l’altra metà era sempre a casa o viceversa.
Il risultato fu che instaurai ottimi rapporti con il mio gruppo di classe, mentre non scambiai una parola con gli altri compagni.
Bastò poco più di un mese perché la situazione precipitasse. Chiusero di nuovo le attività sportive, e fu cancellato lo svago. Poi toccò alle scuole. E infine al fatidico giorno che ormai, dopo tutte queste chiusure e un aumento spaventoso dei contagi e dei morti, tutti aspettavano.
Mai mi sarei immaginato, dopo la fantastica estate che ho passato, che saremmo di nuovo sprofondati in un nuovo lockdown.
É un incubo diventato realtà, un evento che mai avrei voluto succedesse.
Sono anche arrabbiato, so che si poteva fare di più.
Stanno traboccando le scelte sbagliate compiute dal governo, e noi tutti ne stiamo pagando le conseguenze, che stanno pian piano venendo a galla da alcune decisioni discutibili. Purtroppo da piccoli errori o disattenzioni possono veramente derivare grossi guai.
Oggi, quando mi alzo la mattina, vedo l’alba sulla mia finestra che dà sul mio giardino di querce, alberi da frutto, cipressi e pini, mitigati dall’azione dell’autunno, e so già che non potrò uscire.
Rieccoci qua, a contemplare il lockdown.

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