Adpellere: spingere verso. Questo è il vero compito di un insegnante.
Il 31 gennaio in occasione della presentazione del suo ultimo libro L’Appello Alessandro D’Avenia ci ha dato modo di riflettere sul ruolo della scuola nella società di oggi.
Avreste mai pensato che la parola “scuola” derivi dal sostantivo greco “σχολή” (scholé) che significa tempo libero? O che “studio” derivi dal latino “studium” ovvero amore?
Com’è possibile allora che al giorno d’oggi la scuola sia diventata una scuola dell’obbligo, dove circa il 75% degli alunni e dei docenti sta male psicologicamente, dove gli studenti non sono più persone ma numeri, dove l’unica preoccupazione è quella di finire il programma? Com’è possibile che la scuola, che dovrebbe umanizzare, disumanizzi?
La causa prima di questo decadimento è che noi abbiamo dimenticato che cosa vogliono dire le parole che usiamo: se prestassimo maggiore attenzione all’etimologia delle parole ritroveremmo dei significati e di conseguenza dei valori ormai andati perduti.
Il maestro non è qualcuno che insegna le cose, ma è colui che spinge l’alunno verso il suo desiderio, erotizzando così la materia: l’amore infatti genera conoscenza e la conoscenza ampliata rinnova l’amore. In questo modo l’insegnante che crede nei propri studenti, si accorge della loro unicità e chiede a ciascuno di loro che cosa voglia fare “di grande” (e non “da grande”) permette loro di diventare soggetti di possibilità, e non oggetti da riempire con formule e concetti inerti.
Nella realtà tutto questo però sembra soltanto una chimera, un sogno lontano anni luce. La maggior parte dei professori pensa di poter trasmettere la materia che insegna attraverso la paura. Ma quanti studenti studierebbero ancora se non avessero paura di prendere un brutto voto o di deludere il professore? La sfida per un insegnante è proprio quella di far appassionare (ecco che ritorna nuovamente l’importanza di erotizzare la materia) i propri studenti, innescare in loro la curiosità di conoscere, affinché lo studio torni ad essere nuovamente amore e la scuola un posto dove passare con piacere il proprio tempo, come per i nostri cari vecchi amici greci e romani. È dalla passione che nascono la disciplina e il dovere da applicare nell’apprendimento: se imposti dall’alto, austeri e freddi, incutono solo timore.
La scuola di oggi va riformata, e leggere L’Appello del professor D’Avenia è il primo passo che studenti, professori e Ministro dell’Istruzione potrebbero fare per rendere ciò possibile. Il problema non è che siano stati reintrodotti gli scritti alla maturità di quest’anno; il problema, tra gli innumerevoli, è che siano stati reintrodotti gli scritti alla maturità di quest’anno senza curarsi dell’opinione degli studenti. Gli studenti non vogliono una scuola più semplice, gli studenti vogliono una scuola che si prenda cura di loro. Ogni lezione dovrebbe essere improntata verso il compimento interiore di tutti, professori inclusi. La “voragine infinita“ che sta dentro di noi (è così che D’Avenia ha chiamato la tendenza intrinseca dell’uomo a realizzarsi) non può essere colmata da mezzi finiti come le valutazioni scolastiche, bensì da mezzi infiniti come il contatto umano e il dialogo. Per questo custodire i nomi è importante. Il vero programma scolastico è quello di valorizzare le persone e indirizzarle nel loro percorso di riempimento della loro voragine. Oltre alle proteste (purtroppo spesso inascoltate) fuori da scuola, c’è bisogno di una “ribellezza” dall’interno, una ribellione di bellezza e di amore dentro alle aule.
Cari professori, adpellite i vostri studenti. Custodite e dite i loro nomi, fate loro sentire che esistono, che vi importa di loro.
Cari studenti, rispondiamo uno ad uno adsum. Facciamo sentire la nostra voce, la nostra presenza, dichiariamoci pronti ad andare verso la nostra vocazione.
Cari studenti e professori, ricordiamoci che abbiamo la stessa essenza, voi siete l’atto e noi la potenza: noi siamo degli adolescenti, participio presente del verbo adolescere, voi siete degli adulti, participio perfetto del medesimo verbo.
Noi siamo Alexia Ioana Branzea e Martina Manzoni, e siamo presenti.
E voi? Siete pronti a dare il via a questa “ribellezza”? Magari si potrebbe iniziare proprio dall’appello!
Fonti:
Articolo di Alexia Ioana Branzea e Martina Manzoni