1984 è un romanzo, un classico, considerato senza tempo, sempre attuale, definito da Marco Rossari come “un eterno instant-book”.
È un libro che le persone, ogni qualvolta accade qualcosa di significativo dal punto di vista politico e sociale, si dilettano a reinterpretare, anche attribuendogli, come scrive Rossari, i più “disperati” significati.
Certamente ci sono interpretazioni più valide di altre.
Per esempio, è chiaro che il libro vada contro ogni regime totalitario che, indipendentemente dall’orientamento politico, si basa sempre sul distorcere la realtà e sul controllare la mente dei singoli individui per perseguire un fine considerato superiore, mascherato per essere riconosciuto come la felicità collettiva e per celare il vero obiettivo: il potere.
Questo concetto è spiegato chiaramente da Orwell nel romanzo. Per Winston è chiaro come il partito mantenga il potere ma il perché gli sfugge. Quando O’Brien gli pone la domanda sul perché, Winston risponde guardando la “maschera” dietro la quale si cela il vero motivo, ovvero risponde che il Partito mantiene il potere per garantire la felicità degli uomini. A quel punto O’Brien rivela la verità: niente di quello che il partito fa è volto a garantire la felicità degli uomini, ma il Partito ricerca il potere in quanto tale. In questo senso il potere diventa un fine per il Partito.
Nonostante ciò, in seguito, sembra che il potere sia anche un mezzo. Infatti O’Brien descrive il potere come la capacità e la possibilità di ridurre a pezzi la mente degli uomini e ricomporla nel modo che sembra più opportuno per mantenere il potere.
Dunque, in quest’ottica, il potere appare come mezzo per il raggiungimento di un fine che è il potere stesso, come condizione necessaria e sufficiente di sé stesso.
Questa, secondo me, è una delle più grandi accuse di Orwell al totalitarismo della sua epoca: non c’era nulla di machiavellico nelle azioni dei regimi del mondo reale così come in quelli dei superstati nel mondo distopico proposto da Orwell, non c’era un fine che giustificava i mezzi, anche perché il mezzo ed il fine coincidevano, non si poteva parlare di “ragion di stato” perché il benessere del popolo non era negli interessi dei governanti. Non c’era niente di tutto questo, c’era solo il potere.
Ci sono altre interpretazioni dell’opera sulle quali invece non mi trovo d’accordo.
Non condivido l’interpretazione che concepisce il romanzo come una critica verso la tecnologia per due principali motivi: reputo improbabile che Orwell abbia scritto “1984” a questo scopo perché la critica alla tecnologia risulta estremamente prematura e infondata rispetto all’anno di pubblicazione (1948). Se invece più che un’interpretazione, la critica verso la tecnologia viene considerata come un’analogia con la società odierna, penso che non ci si stia concentrando su ciò che è veramente importante nel libro, su ciò che Orwell voleva comunicare.
Infatti, a mio avviso, lo scopo del romanzo non è quello di evidenziare come possa venire utilizzata la tecnologia per controllare le persone, ma lo scopo è quello di fare comprendere agli uomini facenti parte di stati totalitari che, spesso, la realtà in cui vivono è plasmata a piacimento da chi detiene il potere.
Dunque la tecnologia non è importante, il Partito avrebbe potuto utilizzare qualsiasi altro strumento per controllare le persone e il significato del libro non sarebbe cambiato. Certo, questa interpretazione può essere considerata come la più attuale poiché oggi siamo sempre più dipendenti dalla tecnologia ma comunque non la considero la più corretta.
Infatti l’interpretazione che reputo migliore per la combinazione di attualità e correttezza d’interpretazione dell’intento dell’autore si può sintetizzare con il titolo che venne scartato dall’editore e da Orwell in favore di quello conosciamo: “The last man in Europe”.
Ovviamente quest’ultimo uomo sulla Terra è Winston Smith.
Viene considerato come ultimo uomo nonostante ci siano ancora milioni e milioni di uomini sulla terra, perché è l’unico che ancora non è stato vinto dal “bipensiero”.
È l’unico uomo che coglie le incongruenze nella cronaca e negli annunci del Grande Fratello.
È l’unico che non concepisce come si possano accettare contemporaneamente due opinioni, due fatti contrastanti.
È diverso da Julia poiché lei, nonostante riesca a capire l’impossibilità del “bipensiero” non si interessa di ciò che è vero o falso, per lei non c’è differenza, non la riguarda.
Ecco, questa è l’interpretazione che preferisco se ci si deve allontanare da quella più coerente con ciò che Orwell voleva comunicare. Ognuno di noi deve essere come “The last man in Europe”, deve essere padrone del proprio pensiero e della propria coscienza, non deve essere indifferente a ciò che è vero, non deve essere controllato da niente e da nessuno, neanche dalla tecnologia da cui certe volte siamo siamo inconsciamente dipendenti e manipolati.
Ognuno di noi deve morire ripudiando il Grande Fratello.
Articolo di Gabriele Cristofoletto