La pena di morte è un argomento oggigiorno ancora dibattuto e, sebbene negli Stati membri dell’Unione Europea questa sia stata abolita per rispettare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sono ancora numerosi i Paesi del mondo in cui vengono quotidianamente svolte esecuzioni.
Come è possibile osservare dalla cartina, in alcuni Paesi, rappresentati in rosso, la pena di morte é in vigore ed é utilizzata; in altri questa pratica è legale ma non viene praticata da molti anni, ovvero negli Stati colorati in arancione; mentre in altri ancora è stata completamente abolita o viene utilizzata solo per casi eccezionali, Paesi rispettivamente in blu e in verde.
Tra i vari Stati in cui la pena capitale è ancora in vigore ed utilizzata saltano sicuramente all’occhio gli Stati Uniti d’America ed il Giappone, gli unici due Paesi liberi e democratici in cui questa pena è ancora applicata.
Giappone
In Giappone la pena di morte viene utilizzata da quasi mille anni, a partire dal 1156. Nello Stato attuale la pena di morte è stata resa costituzionale dal 1948, l’articolo 199 del codice penale afferma: “Una persona che uccide un’altra persona è punita con la pena di morte, l’ergastolo, o con il carcere per un lasso di tempo non minore di cinque anni”. Il metodo di esecuzione ancora ad oggi utilizzato in Giappone è l’impiccagione.
Stati Uniti
Negli Stati Uniti la pratica della pena di morte esiste fin dalla nascita dello Stato federale, in particolare trova fondamento nel quinto emendamento della Costituzione. Il quinto emendamento è uno dei primi dieci che vennero emanati nel 1791 ed afferma: “Nessuno sarà tenuto a rispondere di un reato che comporti la pena capitale, o comunque infamante, se non per denuncia o accusa fatta da una Grand Jury a meno che il reato non sia compiuto da individui appartenenti alle forze di terra o di mare, o alla milizia, quando questa si trovi in un servizio attivo, in tempo di guerra o pericolo pubblico; né alcuno potrà essere sottoposto due volte, per un medesimo delitto, a un procedimento che comprometta la sua vita o la sua integrità fisica; né potrà essere obbligato, in una qualsiasi causa penale, a deporre contro se medesimo, né potrà essere privato della vita, della libertà o della proprietà, se non in seguito a regolare procedimento legale; e nessuna proprietà potrà essere destinata a un uso pubblico, senza un giusto indennizzo.” La pena capitale è solamente citata in questo emendamento, dunque viene garantito dallo Stato federale una autonomia ai singoli Stati, in alcuni dei quali è stata più o meno recentemente abolita.
Ecco una cartina per comprendere meglio la situazione:
Sebbene la pena di morte sia da sempre stata applicata negli Stati Uniti, ad eccezione degli anni che vanno dal 1972 al 1976, sono numerosi i detrattori di questa pratica, che da molti viene considerata disumana; in particolare viene spesso fatto appello all’ottavo emendamento, secondo il quale: “Non si dovranno esigere cauzioni eccessivamente onerose, né imporre ammende altrettanto onerose, né infliggere pene crudeli e inconsuete.” A seguito di numerose critiche, lo Stato federale, per mantenere la pena di morte e contemporaneamente rispettare questo emendamento, ha progressivamente ridotto l’uso della sedia elettrica, dell’impiccagione e della fucilazione, mantenendo come unica pratica quella dell’iniezione letale.
Italia
Per quanto riguarda invece la situazione nel nostro Paese, la pena di morte è rimasta in vigore fino al 1889 quando, con il così detto Codice Zanardelli, è stata ufficialmente abolita nell’undicesimo articolo, dove la pena capitale non compare tra le punizioni per delitti e contravvenzioni: “Le pene stabilite per i delitti sono: 1.° l’ergastolo; 2.° la reclusione; 3.° la detenzione; 4.° il confino; 5.° la multa; 6.° l’interdizione dai pubblici ufficii. Le pene stabilite per le contravvenzioni sono: 1.° l’arresto; 2.° l’ammenda; 3.° la sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte. Sotto la denominazione di pene restrittive della libertà personale la legge comprende l’ergastolo, la reclusione, la detenzione, il confino e l’arresto“.
Durante il regime fascista tuttavia la pena capitale è stata reintrodotta nel novembre del 1926 con i cosiddetti Provvedimenti per la difesa dello Stato: “Chiunque commette un fatto diretto contro la vita, l’integrità o la libertà personale del Re o del Reggente è punito con la morte.”.
La pena di morte rimase nel Codice Penale Militare di Guerra fino al 1994, mentre venne completamente rimossa dalla Costituzione nel 2007, il cui l’articolo ventisette afferma: “La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte.”
Pena di morte e filosofia
In passato ci sono stati numerosi filosofi e studiosi il cui pensiero ha messo in dubbio l’utilità della pena capitale e che hanno contribuito alla sua rimozione. Nella seconda metà del quarto secolo, Sant’Agostino di Ippona si espone contro la pena di morte nella centocinquantatreesima lettera, nella quale afferma che sono da odiare le colpe e non gli uomini che le commettono: “[…] pur avendo compassione del peccatore, ne detestiamo le colpe o le turpitudini.”. Dal filosofo cristiano viene anche detto che non è compito degli uomini provocare morte e dolore ad una persona colpevole in quanto, secondo lui, dopo la morte saranno dannati per l’eternità: “Noi quindi nell’ intercedere per i colpevoli siamo spinti dall’amore per il genere umano affinché la loro vita terrena non finisca con un supplizio, che dopo la fine della vita non avrà mai fine.”.
Molto più celebre e moderno è sicuramente il pensiero di Cesare Beccaria che, nell’opera Dei delitti e delle pene, esprime la sua contrarietà riguardo tale pratica. Egli giudica la pena capitale ingiusta perché punisce ancor prima di aver accertato la colpevolezza (potrebbe anche capitare che ci vada di mezzo un innocente). Essa inoltre non è utile al fine di indagare la verità, poiché le persone più deboli, pur di porre fine ai propri tormenti, sono indotte a confessare anche qualcosa di non veritiero. La pena di morte oltre ad essere ingiustà è, per l’intellettuale milanese, non necessaria; secondo quest’ultimo infatti lo Stato non ha il diritto di togliere la vita ad un suo cittadino, e potrebbe essere sostitutita dai lavori forzati: mentre l’uccisione di un cittadino, infatti, produce un’impressione forte ma passeggera per la società, l’idea di dover passare una vita intera in schiavitù farebbe paura anche a chi non ha nulla da perdere. Dunque la pena dovrebbe essere scelta per impressionare maggiormente gli uomini ma anche per ridurre il dolore fisico del colpevole: “farà una impressione più efficace e più durevole sugli animi degli uomini, e la meno tormentosa sul corpo del reo.”. Inoltre Beccaria crede che la legge debba valutare i danni inflitti alla società e che il suo unico scopo debba essere quello di porre rimedio a questi ultimi, cosa che la pena di morte non è in grado di fare.
Sebbene la sentenza capitale sia ancora in vigore in numerosi Stati, i dati relativi alle condanne a morte, mostrano come in questi ultimi anni ci sia stata una diminuzione delle condanne e come sempre più Paesi stiano mettendo in discussione questa pratica. Questi dati, personalmente, mi fanno credere e sperare che in un futuro questa pena possa essere abolita e sostituita con punizioni più riabilitative e utili all’intera società.