Invitami notte a immaginare le stelle

L’8 ottobre del 2021 Liliana Segre aveva tenuto quella che aveva detto essere la sua ultima testimonianza pubblica. La senatrice, però, ci sorprende tutti tornando il 27 gennaio a fare Memoria, nel programma Binario 21, andato in onda su Rai1 e condotto da Fabio Fazio.

L’incontro si è aperto sull’installazione di Marcello Maloberti al Memoriale della Shoah della Stazione Centrale di Milano.

“INVITAMI NOTTE A IMMAGINARE LE STELLE” è il messaggio di forza e di speranza, scritto al Neon con la calligrafia di Liliana Segre.

Liliana, infatti, la prima notte in cui si era trovata al campo di Auschwitz aveva guardato una stellina che le dava coraggio. Così ogni notte guardava la sua stellina in alto nel cielo e si diceva: “Finché brillerà io sarò viva”.

L’incontro ci ha poi portati davanti al muro dell’INDIFFERENZA, voluto dalla Senatrice.

È riferito alla popolazione, che non si è interessata agli orrori che stavano avvenendo al di sotto della stazione, ma che è stata appunto indifferente.

Il presidente Mattarella nel discorso in onore della celebrazione del Giorno della Memoria aveva infatti detto: “il terribile meccanismo di distruzione non si sarebbe messo in moto se non avesse goduto di un consenso, a volte tacito ma comunque diffuso, nella popolazione. Un consenso con gradi e motivazioni diversi: l’adesione incondizionata, la paura, ma anche, e spesso, il conformismo e quell’orribile apatia morale costituita dall’indifferenza.”

Prima di andare avanti dobbiamo ora immaginarci una ragazzina di 13 anni, che si ritrovò il 30 gennaio del 1944 su un treno, diretto verso ignota destinazione. 

Quello che ha portato la senatrice su quel treno è un filo nero che scorre lungo quei binari, ma che è iniziato tempo prima con le leggi raziali.

Nell’estate del 38 era iniziata la schedatura degli ebrei, tra cui quella della famiglia Segre.

I seguenti sono solo alcuni dei 400 divieti che, dal 1938, furono imposti agli Ebrei:

1938: “Non possono essere ammessi nelle scuole statali e parastatali, non possono insegnare, non possono sposare italiani di razza ariana, non possono prestare servizio militare…”

1939: “Non possono lavorare come medico, chirurgo, farmacista, veterinario, ostetrica, avvocato, procuratore…”

1940: “Non possono confezionare e vendere uniformi militari, non possono gestire bar o vendere alcolici…”

1941: “Non possono aprire scuole di ballo, non possono fare da autisti per mezzi pubblici… non possono vendere libri usati e apparecchi radio… non possono fare i tipografi…”

1942: “Non possono raccogliere rifiuti, non possono acquistare carne di bassa macellazione presso lo spaccio apposito del rione Trastevere”.

1943: “Non possono lavorare nel porto di Livorno”.

Fu così che la senatrice, che amava andare a scuola, a soli otto anni fu espulsa improvvisamente dall’istituto elementare che frequentava in via Ruffini, a Milano: “Sentirsi dire che ero stata espulsa era stato uno shock di perché. Cos’avevo fatto di male per essere stata espulsa?”

Perché a cui non si sapeva dare risposta ai propri figli. “Mi ricordo la tavola, i visi, le espressioni, l’idea di essere colpevole”.

Tentarono la fuga in Svizzera solamente l’8 dicembre del 1943. 

Liliana cambiò cognome in Cherubini. Il giorno in cui tentarono il passaggio, tuttavia, la Svizzera aveva decretato che “la barca era piena”, aveva chiuso le frontiere, cacciando lei e suo padre. Furono così arrestati e imprigionati nel Carcere di San Vittore.

Il carcere fu l’ultimo momento dove ricevette solidarietà, racconta: “Ricordo con gratitudine i detenuti, che capirono che non avevamo fatto nulla di male. Furono uomini capaci di solidarietà: ci lanciarono una sciarpa, un arancio… furono gli ultimi a compiere un gesto di umanità, gli ultimi ad avere pietà“.

Dal carcere furono caricate 605 persone a pugni e a calci su dei furgoni e portati alla stazione Centrale.
Arrivarono in un luogo buio, mai visto prima, senza capire dove si trovassero.
Arrivarono nel silenzio brutale della città, anche se era tarda mattinata.
Arrivarono nell’indifferenza più totale.

Furono spinti dentro un vagone, che recava scritto “8 bestie“. Fu proprio così che furono caricati: come bestie. Erano 40/80 persone che dovevano andare al macello, come gli 8 animali per cui era adatto quel vagone.

Iniziò così quel viaggio verso l’inferno, verso ignota destinazione.

“Perché nessuno si mise mai davanti al treno?” – Si domanda la senatrice – “Come il cinese che si mise in camicia davanti al carro armato. Non si può perdonare e non ha senso, ho imparato a non odiare, ma ci vuole un lungo percorso. Ho imparato a non odiare quando ho allattato i miei figli: una madre non può odiare, deve amare.”

Liliana si ricorda di quel viaggio. Si ricorda i pianti di tutti quando avevano visto il treno andare verso nord, poi le preghiere degli uomini più religiosi, infine il silenzio più totale.

Silenzio che fu presto rotto, assalito, dal rumore assordante di quegli assassini che aprirono con brutalità le porte dei vagoni.

Era il 6 febbraio del 1944: erano arrivati ad Auschwitz.

Furono divisi gli uomini dalle donne, e così Liliana da suo padre, che da quel momento non avrebbe più rivisto, ma questo ancora non lo sapeva. Questi l’aveva spinta a stare vicina alla signora Morais, madre di due ragazzi di più o meno la sua età, conosciuta al carcere di San Vittore.

Così in quella fila si mise di fianco a lei che, insieme ai suoi figli, fu smistata a destra.

Quando fu il suo turno le chiesero se venisse da sola, frase che riuscì a capire grazie alla canzone Wien, Wien nur du allein “Vienna Vienna ancora tu sola”.

Liliana fu mandata dalla parte opposta, e poi fatta camminare a piedi fino al campo di Birchenau, dove fu scelta per lavorare come operaia. Scoprì dopo che le persone che erano state smistate a destra erano finite direttamente al gas.

La notte era il momento peggiore al campo: dice Liliana: “bisogna essere forti, quando si è giovani bisogna essere forti. Ero così io di notte: ero fortissima”.

Nel gennaio del 1945 sentì la guerra che si stava avvicinando, sentì gli scoppi, sentì che qualcosa stava cambiando. Fu spostata ad Auschwitz.

Da lì cominciò la marcia della morte: 700 km a piedi, durante i quali non potevano cadere o essere stanchi. Se cadevi eri morto: “lì bisognava essere fortissimi”.

Quando arrivarono gli americani, fuori dal campo, all’inizio non capirono di essere liberi. Videro le guardie spogliarsi, togliersi le divise rimanendo in mutande. Si mettevano in borghese, lasciavano i cani, buttavano via le pistole: scappavano.

Liliana si ricorda bene di un soldato che gettò la pistola a pochi metri da lei. La tentazione di prenderla e sparargli fu fortissima. 

Ma in quell’attimo capì di essere diversa dal suo assassino: non poteva odiare, non poteva uccidere nessuno.

Da lì, da quella pistola non raccolta, divenne per davvero libera.

Rientrò in Italia il 31 agosto.

Il ritorno a casa fu tragico. I quattro mesi che era stata libera in Germania l’avevano trasformata: era diventata bulimica, ribelle.

Fu ospitata dagli zii e dai nonni materni che provarono disgusto nei suoi confronti. Liliana si ricorda con amarezza che le prime cose che le chiesero furono il perché fosse grassa e se fosse ancora vergine.

L’avevano lasciata bambina e avevano ritrovato una persona completamente diversa: rozza, selvaggia, grassa: “Fu tremendo vedere queste persone buone che non riuscivano a celare la loro delusione. Mi dicevo: di tante cose che potevano chiedermi, un mondo, dovevano chiedere quello?”.

L’incontro procede poi con l’intervento del sindaco di Milano, Beppe Sala, che annuncia la decisione di conferire l’Ambrogino d’oro alla memoria di Alberto Segre: “Ho deciso di conferire l’Ambrogino d’oro alla memoria di suo padre Alberto Segre. Una mia decisione, ma anche una decisione di Milano. Milano vuole essere riconoscente a quello che suo padre ha fatto per la nostra città”.

La senatrice Segre ha poi scelto 6 nomi di bambini per ricordare le 6 milioni di persone che persero la vita nei campi di concentramento.

L’incontro si conclude con una sorpresa per la senatrice: il coro della scala esegue Va, pensiero di Verdi; e con un augurio di Liliana:

Siate la farfalla gialla che vola sopra i fili spinati”

 

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