Vi siete mai chiesti quanto la concezione dell’amore sia cambiata con il passare dei secoli? Io sì, e con questo articolo voglio farvi notare quante differenze tra ieri e oggi si possano riscontrare leggendo una delle più famose opere di uno dei più grandi poeti di tutti i tempi; l’opera di cui sto parlando è la Vita Nova ed il suo autore è il celeberrimo Dante Alighieri.
Se avete letto la Vita Nova o almeno i capitoli più salienti di essa non potete non ricordarvi che quando Dante vede Amore in sogno, lo descrive come un signore dall’aspetto pauroso che gli dice: “Ego dominus tuus” (Vita Nova, III).
Oggigiorno pensare all’amore come a qualcosa di spaventoso potrebbe sembrarci alquanto strano in quanto siamo da sempre stati abituati a pensare ad esso come a qualcosa di piacevole, ma durante il Medioevo la concezione che si aveva a riguardo non era uguale a quella odierna: l’amore infatti veniva considerato pericoloso perché condizionava l’innamorato portandolo addirittura a compiere pazzie e facendolo soffrire, a volte rischiando di causargli anche disguidi e problemi familiari. Ecco spiegata la cagione per cui, nel sogno, Amore dice a Dante di essere il suo padrone, il suo maestro, il suo signore, infatti il poeta è perdutamente innamorato di Beatrice e pertanto si sente guidato da Amore in ogni sua scelta.
Questa prima è una differenza solo in parte, in quanto di certo ormai non consideriamo più l’amore come qualcosa di spaventoso e pericoloso, ma siamo ben consapevoli di quanto questo possa far soffrire e possa portarci a compiere scelte sbagliate se ci lasciamo dominare da esso.
La seconda differenza che intendo presentarvi e che potrete facilmente notare attraverso la lettura dell’opera è invece molto più sostanziale della prima.
Ci troviamo sempre agli inizi del cosiddetto “libello” e scopriamo che Dante vuole tenere segreto il suo amore per Beatrice e per farlo approfitta di una donna rendendola “schermo de la veritade” (Vita Nova, V).
Al giorno d’oggi, la maggior parte delle volte, vogliamo che la persona da noi amata sia a conoscenza dei sentimenti che proviamo nei suoi confronti e, anche se magari siamo soliti evitare un confronto diretto con questa perché temiamo un doloroso rifiuto, troviamo sempre un modo per farglielo sapere, o per lo meno ne parliamo con qualche nostro conoscente per liberarci da quel peso che è la consapevolezza di essersi innamorati. Dante invece non vuole che il vero oggetto del suo amore sia reso pubblico, e pertanto quando la gente si convince che lui sia innamorato di un’altra donna, egli non solo non ne è infastidito ma al contrario approfitta della credenza per tenere ancora più celato il suo amore per Beatrice.
La terza e forse più sostanziale differenza che è in mio volere esporvi è l’autosufficienza dell’amore in Dante, in contrasto con la sua dipendenza quest’oggi.
Dante, dopo aver passato lungo tempo a scrivere della sua condizione di sofferenza causatagli da Beatrice, in particolare dal fatto che ella non gli rivolgeva più il suo saluto, si rende conto che non avrebbe dovuto parlare sempre e solo del suo dolore ma piuttosto avrebbe dovuto lodare la sua amata, senza aspettarsi assolutamente nulla in cambio, infatti alla fine dell’opera il poeta dice: “io spero di dicer di lei quello che mai non fue detto d’alcuna” (Vita Nova, XLII). Noi facciamo molta fatica a comprendere ciò, perché non riusciamo a capacitarci di quale sia il fine di un amore non corrisposto che ci fa soffrire così tanto, e spesso per nutrire e mantenere vivo il nostro amore abbiamo bisogno, appunto, di corrispondenza, altrimenti con il tempo il nostro sentimento tende ad affievolirsi fino a sparire del tutto.
Le tre che sopra ho elencato sono solo alcune di tutte le grandi differenze che si possono scorgere nella Vita Nova. Se volessimo continuare si potrebbe citare anche, tra le varie cose, la descrizione che gli uomini fanno di Beatrice quando questa passeggia: “Questa non è femmina, anzi è uno de li bellissimi angeli del cielo” (Vita Nova, XXVI), infatti nel Dolce Stilnovo le donne vengono considerate esseri superiori e divini e vengono paragonate a creature celesti e angeliche.
Per non discostarmi ulteriormente dal tema iniziale, l’ultimo passo che intendo citare è: “Allora cominciai a pensare di lei; e ricordandomi di lei secondo l’ordine del tempo passato, lo mio cuore cominciò dolorosamente a pentere de lo desiderio a cui sì vilmente s’avea lasciato possedere alquanti die contra la costanzia de la ragione” (Vita Nova, XXXIX). Qui Dante si pente di essersi lasciato andare per un po’ di tempo ad un sentimento amoroso nei confronti di un’altra donna in seguito alla prematura morte di Beatrice, cosa che per noi è diventata quasi normale in quanto cerchiamo sempre di “rifarci una vita” e “passarci sopra” per non continuare a vivere nel passato soffrendo per qualcosa che non ci può più appartenere in alcun modo.
L’amore di Dante per Beatrice che emerge dalla Vita Nova è un amore sincero e profondo e la sua manifestazione è, a mio parere, la più bella di cui io sia a conoscenza. Nonostante la complessità del linguaggio, sono riuscita a immedesimarmi in Dante emozionandomi e vivendo la vicenda insieme a lui: ho sorriso leggendo dell’effetto salutifero che aveva su di lui il saluto di Beatrice e mi sono dispiaciuta vedendolo soffrire perché ella gli aveva tolto codesto saluto; ho trovato incredibile come lui si sia vergognato quando si è reso conto di essersi lamentato del suo dolore invece di lodare la sua amata e ho ammirato le meravigliose parole che poi ha dedicato a Beatrice, senza più desiderare nulla in cambio; mi sono commossa quando Dante si è pentito di aver quasi dimenticato la sua amata lasciandosi andare a un sentimento amoroso verso un’altra donna; ed infine ho pianto quando Dante, nonostante avesse scritto questa stupenda opera per Beatrice, dedicandole canzoni, ballate, sonetti e meravigliose parole che ogni donna desidererebbe sentirsi dire, ha ammesso di non essere soddisfatto del suo lavoro e ha promesso, alla fine dell’opera, di “più degnamente trattare di lei” (Vita Nova, XLII) in un’opera futura, che poi si sarebbe mostrata essere la Comedìa, ovvero la famosissima Divina Commedia, l’opera più rinomata e più conosciuta dell’illustre poeta.
E voi invece che cosa ne pensate? Vi piace l’idea di amore che emerge dall’opera dantesca? Riuscireste ad essere appagati da un amore autosufficiente a se stesso tanto da non desiderare niente dalla persona amata se non il diritto di manifestare il proprio amore nei suoi confronti? Avete mai provato un sentimento così forte? Fatemelo sapere nei commenti o, meglio ancora, con un vostro proprio articolo!
E chi avesse voluto conoscere Amore, fare lo potea mirando lo tremare de li occhi miei.”
Dante Alighieri, Vita Nova, XI
L’ Amore non corrisposto come riserva energetica di passione per scrivere ed esplorare l’ animo umano come un’amore corrisposto forse nona avrebbe potuto fare.