La Mia Metamorfosi

“Smettila di sperare che la vita sia facile! Smettila di aspettare che qualcuno ti salvi! La tua vita è come una barca e tu stessa la stai distruggendo facendola infrangere contro gli scogli. E non provare a dire di averne perso il controllo perché il timone è sempre nelle tue mani! Noi non possiamo far altro che indirizzarti verso il porto più vicino, dove potrai finalmente aggiustarla per ripartire all’esplorazione di nuove terre lontane, ma sei tu e solo tu che puoi cambiare la rotta per evitare di affondare.”

Roteai gli occhi e non dissi una parola, scocciata dalle parole del mio psicologo. Mia madre continuava a fissarmi scuotendo la testa: aveva gli occhi lucidi; mio padre si teneva la fronte fra le mani e faceva uno strano movimento con le gambe: sembrava nervoso.

“Mi dispiace,” dissi mordendomi il labbro inferiore, “mi dispiace di essere un problema per tutti voi. Io volevo… Volevo soltanto essere accettata, essere bella, essere…”

“Magra.” Mi interruppe lo psicologo. “Tutto ciò che volevi era essere magra. Ma pensavi davvero che la magrezza potesse essere la risposta a tutti i tuoi problemi? Pensavi davvero che privandoti del cibo saresti riuscita ad essere felice e in pace con te stessa e con il tuo corpo? Sappiamo benissimo entrambi che non è così. E non provare a negarlo, staresti soltanto mentendo a te stessa.” Fece una pausa ed emise un lungo sospiro guardandomi scoraggiato. “Sei un bellissimo fiore, ormai quasi del tutto appassito. Perché non vuoi sbocciare nuovamente?”

Restai a lungo in silenzio.

Mi riaffiorò alla mente ciò che mi aveva detto un paio di settimane prima Emma, la mia migliore amica: “Annaffi le tue piante ogni giorno, altrimenti morirebbero: hanno bisogno di nutrimento. Dai da mangiare ai tuoi gatti ogni giorno, altrimenti morirebbero: hanno bisogno di nutrimento. Ci sono cose che sono necessarie per vivere. Perché non vuoi capire che questo vale anche per te? Perché non vuoi capire che rifiutando il cibo, automaticamente stai rifiutando la tua stessa vita?”

Con lo sguardo cercai di incrociare gli occhi di mia madre; lei accennò un sorriso che io ricambiai, anche se a fatica. Era da tanto tempo che non sorridevo. Da quando l’inferno della mia anoressia aveva avuto inizio due anni prima non ne avevo più sentito il bisogno, mi aveva portato via tutta la mia felicità.

“Scusatemi un attimo.” Dissi, alzandomi sotto gli occhi sconcertati di tutti. Uscii dallo studio e attraversai la sala d’attesa dirigendomi verso il distributore automatico. Presi una merendina e girandola e rigirandola feci ritorno nello studio. Una volta seduta iniziai a scartarla; i miei genitori si lanciavano occhiate incuriosite. Sentivo il cuore battermi molto velocemente, avevo paura. Paura per una semplice merendina. Intimorita le diedi un morso. Non successe niente. Non ero diventata di colpo una balena, la mia pancia era ancora piatta e le mie cosce continuavano a non toccarsi. Presi coraggio e riuscii a mangiarla tutta. Dovetti ammettere che aveva un buon sapore, dolce e salato, forse anche un po’ caramellato.

È proprio da quel momento che la mia vita è cambiata radicalmente. Le parole del mio psicologo, che non riuscirò mai a ringraziare abbastanza, mi hanno resa conscia dei gravissimi errori che stavo facendo e mi hanno fatto capire che dovevo cambiare se volevo riprendere in mano la mia vita, ma soprattutto mi hanno fatto capire che io potevo cambiare, perché io ero, sono e sempre sarò il capitano della mia barca chiamata vita.

Mi ci è voluto un anno intero per riprendermi totalmente e non è stato per niente facile. Dopo ogni piccolo traguardo raggiunto le difficoltà non tardavano mai a ripresentarsi ed io mi rinvenivo sempre sull’orlo del baratro delle ricadute; ciò nonostante ho continuato ad andare avanti, perché finalmente avevo trovato qualcosa per cui valesse veramente la pena lottare.

Prima, all’alba della mia anoressia, cercavo disperatamente di lottare per raggiungere la perfezione, senza rendermi conto di star combattendo una battaglia che non avrei mai potuto vincere. La perfezione, lì dove la cercavo io, ovvero nella magrezza, nelle ossa, nell’esercizio fisico stremante, non esisteva; perché nell’ anoressia non c’è altro che disperazione, paura, vergogna e morte. Un lungo e tetro percorso che in non molto tempo mi aveva imprigionata in un posto più cupo degli abissi dell’oceano, più spaventoso dell’ingresso agli Inferi e più intricato del palazzo di Cnosso: la mia stessa mente, offuscata dall’ideale sbagliato di perfezione che la malattia mi imponeva di raggiungere.

Ai tempi pensavo davvero che quello fosse l’unico modo per riuscire a stare bene, o almeno così mi lasciavo illudere, quando in realtà tutto ciò che avrei dovuto fare sarebbe stato prendermi cura di me stessa e del mio corpo, amare le mie qualità ma anche i miei difetti e smettere di rincorrere qualcosa di inesistente come un fisico perfetto.

“Buttala via la bilancia, c’è il mondo da guardare!” mi ha detto un giorno la mia migliore amica, l’unica persona che non ha mai smesso di credere in me e che mi ha spronata a non arrendermi e a continuare a lottare, perché voleva che io tornassi ad essere l’allegra e talentuosa ragazzina di una volta. È stata lei infatti che più di tutti mi ha aiutata a trovare la via d’uscita da quel pauroso labirinto quale era la mia malattia, guidandomi con le sue parole e regalandomi gioia con le sue battute. Sempre grazie a lei ho realizzato che l’anoressia mi aveva peggiorata sotto ogni aspetto: la mia pelle aveva assunto uno sgradevole colorito grigiastro, i capelli mi cadevano e rischiavo di perdere i denti, i miei voti si erano abbassati drasticamente e avevo iniziato a mentire e trattare male chiunque, anche coloro che volevano soltanto il mio bene; ero diventata un mostro. Nonostante ciò, Emma è l’unica che non mi ha mai abbandonata e mi è sempre stata vicina, anche quando avevo l’impressione che l’intero Universo mi stesse crollando addosso e mi sentivo come Atlante, oppresso dalla pesantezza del cielo. Un cielo da cui però io non mi sono lasciata sopraffare.

Spesso penso a cosa sarebbe successo se invece fosse stato il mio disturbo ad avere la meglio, se un giorno, stanca, mi fossi lasciata andare e accogliere dalle fredde braccia della morte. Ciò che mi fa rabbrividire, ancora di più dell’idea di aver rischiato di morire, è che a quei tempi avrei davvero preferito la magrezza alla mia stessa vita; un pensiero completamente malato e a dir poco raccapricciante che mi fa ancora raggelare il sangue nelle vene.

Quando ho iniziato il percorso verso la guarigione, infatti, per molto tempo una voce nella mia testa continuava a ripetermi che stavo sbagliando, che non avevo bisogno di guarire; tuttavia io avevo appreso che quella vocina, la stessa che mi aveva condotta in quella terribile voragine e che persisteva a ronzare incessantemente, era presente nella mente di tutte le persone malate di anoressia e pertanto era malvagia. Ed è proprio per questo che io ho deciso di non crederle e di provare ad ignorarla, per quanto potesse essere spaventosamente persuasiva.

Mi mancava tantissimo la persona che ero un tempo, prima che l’anoressia si fosse portata via ogni singolo grammo della mia felicità. Mi mancavano le battute di quella persona, mi mancava il suo sorriso e mi mancava il suo amore per la vita, di cui ormai non vi era più alcuna traccia.

Mi mancavo io. Mancavo a me stessa.

Proprio in quella persona ormai quasi del tutto svanita, io sono riuscita a vedere uno spiraglio di luce alla fine di quel tunnel così oscuro. Volevo tornare a sorridere e ad amare la vita e tutto ciò che quest’ultima aveva da offrirmi. Io ero la luce e valeva la pena combattere per raggiungerla.

Per raggiungermi.

Una volta finita la merendina, con ancora quel piacevole sapore in bocca, iniziai a pensare a come sarebbe stata la mia vita quando quell’inferno avrebbe finalmente avuto fine e le cose sarebbero andate per il verso giusto.

Rividi la me di due anni prima, una ragazzina felice e spensierata e con un radioso sorriso sulle labbra, però più grande e più matura e soprattutto molto più fiera e sicura di sé, per merito del lungo e difficile cammino che aveva dovuto percorrere; vidi una bellissima e splendente me, forte e sana, in grado di inseguire tutti i suoi sogni senza più sentirsi costantemente un fallimento o un errore, poiché aveva imparato a non dare più importanza agli stereotipi che la società le proponeva; vidi il conseguimento del mio diploma con il massimo dei voti e l’inizio dei miei studi universitari alla facoltà di Lettere e Filosofia, uno dei miei più grandi sogni sin da bambina; vidi una me adulta che si cimentava nella scrittura di romanzi e al tempo stesso si prendeva cura della casa e dei figli, infatti oltre che una donna di carriera era diventata anche un’amorevole moglie e mamma, rendendo felicissimi i suoi genitori; ed infine vidi me stessa da anziana, mentre seduta a tavola ripensavo a tutta la mia vita e mi ringraziavo per aver avuto la saggezza necessaria per compiere la scelta giusta, tanti anni prima.

Ed io volevo far sì che in futuro quel meraviglioso sogno ad occhi aperti divenisse realtà, volevo fare la scelta giusta e volevo riprendere la navigazione alla volta della felicità.

D’altronde, pensai, l’inverno si trasforma sempre in primavera, nessun inverno dura per sempre.

Tutti questi pensieri si susseguirono nella mia testa l’uno dopo l’altro nel corso di pochissimi secondi, sempre sotto gli occhi confusi dei miei genitori e lo sguardo perplesso del mio psicologo, che però sembrava aver intuito cosa mi stesse passando per la testa.

Provai delle emozioni fortemente contrastanti in quel momento. Non sapevo a cosa sarei andata incontro se avessi iniziato a seguire la via della guarigione e ne ero un po’ intimorita siccome non volevo assolutamente tornare ad essere derisa e offesa per il mio aspetto, ma al tempo stesso avrei tanto voluto prendere quella via perché ero stanca di stare male e volevo ritornare ad essere la ragazzina allegra di una volta; ciò che però sapevo per certo era che finché il centro del mio universo sarebbe stato costituito da bilance, centimetri e calorie, non avrei mai potuto avere ciò che realmente desideravo, che solo in quel momento realizzai essere non la magrezza o l’approvazione altrui, ma la pace con me stessa, che altro non è che la vera perfezione, cosa che avrei potuto raggiungere soltanto imparando ad amarmi.

L’anoressia aveva tentato di uccidermi ed io glielo avevo quasi permesso. Nel corso di due interminabili anni era riuscita a portarmi via ogni cosa, ma quel giorno io riuscii a ritrovare la speranza.

Qualcosa dentro di me sembrò destarsi e urlare chiedendo vendetta, aveva un’incredibile voglia di combattere e di vincere la battaglia, voleva tornare a regnare sovrano.

Mi invase così un’inconsueta sensazione di calma e benessere, una sorta di forza interiore che mai avevo sperimentato prima di allora; quasi, oserei dire, un senso d’immenso. Come se fossi stata a contatto con l’infinito. Come se io stessa fossi stata l’infinito.

Avrei tanto voluto essere in grado di spiegare tutto quello che avevo provato in quei pochi secondi, ma dato che ciò era umanamente inesprimibile a parole, mi limitai ad andare incontro ai miei genitori con fare deciso e determinato, e con le seguenti parole diedi un colpo secco alla mia anoressia:

Voglio rifiorire, evolvermi da crisalide in farfalla, distendere le ali e spiccare il volo.”

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