Brexit: a che punto siamo?

La vittoria di Boris Johnson determina la maggioranza parlamentare: Brexit entro il 31 gennaio 2020

“GET BREXIT DONE”: è questo lo slogan elettorale con cui il conservatore Boris Johnson ha vinto le elezioni nel Regno Unito riconfermando così il suo ruolo di primo ministro. Johnson ha ottenuto una larga maggioranza di 364 seggi su 650 nella House of Common, il parlamento britannico, sconfitto è invece il leader laburista Jeremy Corbyn.

Questa vittoria però non si limita solamente a determinare il successo politico del Partito Conservatore, ma decreterà anche le sorti di un evento di portata storica: l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. È da quando al referendum del 2016 ha vinto il “leave” con il 51% dei voti, che il Parlamento Inglese cerca di optare per la soft Brexit, la quale prevede di trovare un deal, ossia un accordo con l’Unione Europea per trattare le condizioni di uscita. Il deal però non deve essere solo approvato dall’UE, ma anche dalla House of Common che, a causa delle sue divisioni, non riesce a trovare una maggioranza per approvare un accordo. È nata così una situazione di stallo che dura ormai da tre anni dettata dall’assenza di una maggioranza parlamentare, ma ora che Boris Johnson è riuscito ad ottenere quest’ultima, si pensa che finalmente la House of Common riuscirà a votare un accordo: ecco perchè la vittoria di Johnson è da considerare un passo avanti nell’iter della Brexit. Johnson è deciso ad uscire dall’UE entro il 31 gennaio 2020: gli inglesi infatti, dopo anni di incertezza politica, vogliono chiudere la questione al più presto.Bisogna ricordare che anche se si riuscisse ad ottenere il deal, Boris Johnson dovrà comunque far fronte ai problemi che sia lui che l’ex premier Theresa May, si sono trovati ad affrontare. Uno dei più importanti è la questione irlandese.

Sappiamo che l’Irlanda del Nord appartiene al Regno Unito e che se dovesse uscire dall’UE bisognerebbe porre un confine e una dogana tra le due Irlande, al fine di separare il territorio della Corona Britannica dal territorio che appartiene all’unione doganale europea. Ciò significherebbe aumentare le tasse e riaccendere i conflitti che per anni sono stati presenti in Irlanda a causa della divisione dei due territori. D’altra parte invece, tenere l’Irlanda del Nord nell’unione doganale europea e non costruire un confine, significherebbe avvicinare l’Irlanda del Nord all’UE e allontanarla dal Regno Unito, gettando le basi per una possibile autonomia. Anche la Scozia minaccia sentimenti d’indipendenza: nel 2014 era stato indetto un referendum in cui si chiedeva al popolo di rimanere o lasciare il Regno Unito e per pochi voti vinse la decisione di rimanere. Inoltre al referendum del 2016 la maggior parte degli scozzesi ha votato per restare nell’Unione Europea e se la Brexit dovesse danneggiare fortemente la Scozia potrebbe accrescere in lei sempre di più un desiderio di autonomia.

La Brexit rimane dunque una questione delicata su più fronti e toccherà a Boris Johnson riuscire a completare finalmente l’iter di uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.