Non sono nata per condividere odio

Il primo aprile 2022 la classe 4B Classico del nostro liceo ha assistito alla reading online organizzata dal Centro Asteria di Milano intitolata Non sono nata per condividere odio. La drammaturgia dello spettacolo è della docente universitaria di Storia del Teatro e Comunicazione Teatrale Maddalena Giovannelli, le musiche originali sono di Mell Morcone e il monologo è recitato da Arianna Scommegna.

Lo spettacolo messo in scena è stata una rappresentazione rivisitata e modernizzata della tragedia Antigone di Sofocle, rappresentata per la prima volta ad Atene in un bel pomeriggio di aprile del 442 a.C. durante le Grandi Dionisie. La reading non ha attinto solo alla tragedia originale, ma anche a delle illustri riscritture del Novecento di altri drammaturghi, poeti e filosofi.

La tragedia di Antigone è pressoché impossibile da comprendere se non si hanno delle nozioni di base in merito a quella che era la Saga Tebana e pertanto, benché io consigli vivamente la lettura integrale de l’Edipo Re di Sofocle, I Sette contro Tebe di Eschilo, l’Antigone di Sofocle per l’appunto, e Edipo a Colono sempre di Sofocle, non posso fare a meno di farne un riassunto. Un giorno, il re di Tebe Laio ricevette un oracolo che gli raccomandava di non fare figli con la moglie Giocasta, perché altrimenti il figlio lo avrebbe ucciso e avrebbe poi sposato la madre. Nonostante ciò i due concepirono un figlio, e pensarono di sfuggire all’oracolo abbandonandolo; il fato però è inevitabile, e infatti il figlio, Edipo, pur non sapendolo, uccise il padre e sposò la madre, con cui ebbe addirittura quattro figli. Edipo infatti fu vittima di quella che era una colpa antica interna al suo γένος (ghénos: stirpe), che fu trasmessa di generazione in generazione e portò a una lunga serie di tragedie che si concluse soltanto con l’estinguersi della discendenza. Non appena scoprì il tutto, Edipo si accecò; i suoi due figli maschi invece, Eteocle e Polinice, si ritrovarono a combattersi e uccidersi l’un l’altro perché, nonostante avessero fatto un accordo per governare a turno su Tebe, Eteocle non rispettò il patto e allo scadere del suo anno di regno si rifiutò di cedere il trono al fratello che dunque prese d’assalto Tebe insieme ad altri sei eroi. Arriviamo così ad Antigone, la quale fu straziata dal dolore alla scoperta della morte di entrambi i suoi fratelli, e soprattutto fu indignata dal fatto che il sovrano dell’epoca, Creonte, padre del suo fidanzato, avesse emanato un editto per cui il corpo di Polinice sarebbe dovuto rimanere insepolto: Creonte infatti considerava Eteocle un eroe, poiché aveva difeso la sua città, mentre giudicava Polinice un traditore dato che l’aveva attaccata e pertanto non era degno degli onori funebri.

Il monologo a cui abbiamo assistito è iniziato nel momento in cui Antigone ha chiesto aiuto alla sorella Ismene per seppellire il corpo esanime di Polinice, ma è stata abbandonata da quest’ultima, la quale aveva paura di andare contro la legge emanata dal re Creonte, ritrovandosi dunque nella classica condizione di solitudine che caratterizza i protagonisti delle tragedie sofoclee. Dopo diversi momenti in cui è emerso chiaramente il πάθος (páthos: sofferenza) tragico, reso con incredibile bravura da Arianna Scommegna attraverso pianti e lugubri lamenti, Antigone è finalmente riuscita a seppellire il corpo del fratello ma è stata colta sul fatto. Sono seguiti i momenti del cosiddetto “stasimo del progresso” e del dialogo con Creonte: sono state messe in luce prima la natura “meravigliosa e terribile” dell’uomo, che ha grandissime potenzialità ma spesso pecca di ύβρις (úbris: tracotanza) spingendosi oltre i propri limiti, e poi l’incomunicabilità tra il re e la giovane e la convinzione di quest’ultima di aver agito secondo una legge umana superiore, che era quella di rendere gli onori funebri al fratello, “sangue del suo sangue”, a prescindere dalle azioni tracotanti che questo aveva compiuto e senza preoccuparsi di star andando contro una legge regia e quindi star peccando a sua volta di ύβρις (úbris: tracotanza).

Io non sono nata per condividere odio, io sono nata per condividere amore. Io temo l’odio. […] Ho paura dell’odio accumulato. […] Ho paura perché questo odio, prima o poi, uscirà dagli argini. […] Noi non siamo nati per condividere odio, ma per condividere.”

A questo punto è seguita un’apostrofe a Έρως (Éros: amore), a cui nessuno può sfuggire, che “si infila nelle case, gioca, e vince sempre“, ma prima di ciò non posso astenermi dal fare un breve excursus su come il discorso precedente sia finito con la parola “condividere”: quest’ultima in greco si può rendere bene con il verbo συμπάσχω (sumpáscho), che letteralmente significa “patire insieme”, ma può essere inteso anche come “provare emozioni con…” e dunque “condividere”, il ché è proprio l’intento che il teatro ha avuto sin dall’antichità ad oggi. Lo spettacolo si è poi concluso dopo che Antigone ha fatto un appello dapprima ai cittadini di Tebe ed infine agli dei, i quali però, com’è tipico delle tragedie sofoclee, si sono dimostrati molto lontani e impassibili riguardo la sua sofferenza e il suo destino di morte.

In conclusione, penso che lo spettacolo sia stato molto bello e ci abbia permesso di riflettere su diversi temi quali la forza dell’amore fraterno, lo scontro tra il diritto positivo e il diritto naturale, il fatto che la legge sia uguale per tutti, il ruolo del teatro e il senso della vita stessa… e soprattutto ci ha permesso di capire meglio la figura di Antigone nella sua umanità, con i suoi valori ma anche le sue contraddizioni: una ragazza come tutti noi, che si è ritrovata a vivere dolori che non meritava, piena di quella tipica follia giovanile che l’ha resa coraggiosa e rivoluzionaria da una parte, ma troppo intransigente e caparbia dall’altra.

 

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